Mi passano avanti
Non so quante volte ho letto quel passo del Vangelo in cui Gesù dice che “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,28-32), prima di rendermi conto che quella frase Gesù non la dice ai farisei, ma a me. Da quel giorno, da quando ho capito che il destinatario del monito ero io, sono cambiate moltissime cose nel modo in cui guardo me stesso e gli altri.
Il fatto è che quel passo del Vangelo, che ci ricorda che la volontà del Padre non la fa chi si dice d’accordo, ma chi la segue anche se inizialmente rinnegandola, si lega in modo strettissimo alla parabola dei lavoratori dell’ultima ora (Mt 20,1-16), che personalmente ho sempre ritenuto una grande ingiustizia. E che cavolo, uno si fa il mazzo tutta la vita per seguire la Chiesa, e deve trovarsi a pari con quelli che se la sono spassata, salvo poi convertirsi all’ultimo minuto? Va bene la salvezza per tutti, ma riconosciamo un po’ di anzianità di servizio!
E invece no, niente di più sbagliato.
La cosa pazzesca è che uno può vivere tutta la vita pensando di doversi “guadagnare la salvezza”, pensando che la questione si esaurisca in una coerenza morale che garantisca di arrivare a destinazione con il massimo punteggio. Io stesso, per anni, ho vissuto così. Poi questi passi del Vangelo hanno iniziato a far breccia in me al punto da scardinare questa visione, che a conti fatti non ha niente di cattolico e molto di protestante.
La cosa grande del cattolicesimo è proprio la possibilità di una salvezza continua, di un perdono continuo che nel sacramento della Confessione ci permette di ricominciare un miliardo di volte anche dopo la miliardesima caduta. Senza limiti. La vita cristiana non è una sorta di parafrasi de “la cicala e la formica”, dove ha la meglio chi fa sacrifici per accumulare un credito da vantare in un prossimo futuro. Troppi, troppissimi, tropperrimi cristiani vivono così, convinti di doversi mortificare, sacrificare, di dover vivere una vita di rinunce per potersi poi meritare il Regno dei Cieli: NO! La vita cristiana è esattamente l’opposto: è una vita vissuta nella sua pienezza più piena, nel suo gusto più sfrenato, nella soddisfazione massima. E poi, premio immeritato e non guadagnato, perfino con un traguardo di vita eterna. Altro che mortificazione. La vita cristiana è il massimo della vita perché, seguendo la Chiesa, uno impara a vivere tutte le cose secondo quello che sono, e quindi traendone il massimo gusto. Un po’ come avere un iPad e usarlo come sottopentola, finchè qualcuno non ti spiega che con l’iPad puoi fare di più, te lo puoi godere al meglio. Altro che rinuncia! Non avrai il sottopentola, ma a quel punto chi lo rimpiange? Vivendo la vita, le cose e i rapporti nella loro verità, ne traiamo il massimo godimento. Per questo seguiamo la Chiesa.
In quest’ottica, non c’è più una scala di merito in cui chi rinuncia di più è più vicino al traguardo, ma semmai proprio chi si gode di più la vita è colui che ne ha capito il segreto. Il cristianesimo si trasmette per invidia, e non so chi potrebbe invidiare una vita di rinunce e di castrazioni. Si invidia semmai chi vive la propria vita appieno. Noi siamo chiamati a testimoniare la convenienza nel cristianesimo, non una castrazione. Gesù non ha promesso la vita eterna a chi farà tante mortificazioni su questa terra, ma semmai ha promesso a chi lo segue “il centuplo quaggiù, e la vita eterna” (Mc 10,29-30). Poche balle, io questo centuplo lo voglio vedere. Quaggiù, mica dopo.
Questo stravolge anche la concezione di peccato, che non è per nulla il concedersi una trasgressione proibita o infrangere le regole; è piuttosto usare l’iPad come sottopentola: che peccato, appunto. Una cosa bella sprecata. I comandamenti servono proprio ad evitare questo spreco.
Tutto questo per dire che il punto della vita non è il numero di rinunce che abbiamo all’attivo, ma l’aver capito e abbracciato quest’ottica, seguendo la Chiesa e amando Cristo sopra ad ogni cosa. Quindi il Paradiso se lo guadagnerà chi l’ha goduta la vita, non chi ha rinunciato ciecamente. E tante persone che ho considerato (o considero) “più indietro” nel cammino di salvezza magari hanno più chiara di me (magari inconsapevolmente) questa cosa. Saranno meno coerenti nella morale, ma magari saranno più vicini a come Gesù ci ha chiesto di vivere le cose della vita. O semplicemente, dopo una vita di “no” diranno in punto di morte il loro “sì” definitivo a Cristo (si saranno persi il centuplo, ma almeno la vita eterna no!).
Da quando quella frase mi ha folgorato (“vi passano avanti nel regno di Dio”), ogni volta che penso che una persona sia “di meno”, sia “più indietro”, sia lontana dal segreto della vita… non posso fare a meno di pensare che probabilmente ci sarà anche lei ad aprirmi le porte del Paradiso. Giacchè quando arriverò al cospetto del Signore, sono certo che la mia possibilità di entrare in Paradiso dipenderà da quelle persone, che ho sempre guardato dall’alto in basso, che diranno (sono sicuro che lo diranno) che mi hanno perdonato, e che hanno anche un po’ compassione di me che non ho mai capito niente, e che sì: tutto sommato per loro posso entrare. Quando arriverò alla mia resa dei conti, tutto soddisfatto della mia vita coerente, troverò i campioni di incoerenza ad aprirmi le porte. Ci troverò il mio vicino di casa ateo, ci troverò l’amico eterno convivente, ci troverò lo zingaro che una volta mi ha rapinato… ci saranno perfino Nichi Vendola e Saviano.
E solo allora capirò che il criterio era un altro.
Non so quante volte ho letto quel passo del Vangelo in cui Gesù dice che “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,28-32), prima di rendermi conto che quella frase Gesù non la dice ai farisei, ma a me. Da quel giorno, da quando ho capito che il destinatario del monito ero io, sono cambiate moltissime cose nel modo in cui guardo me stesso e gli altri.
Il fatto è che quel passo del Vangelo, che ci ricorda che la volontà del Padre non la fa chi si dice d’accordo, ma chi la segue anche se inizialmente rinnegandola, si lega in modo strettissimo alla parabola dei lavoratori dell’ultima ora (Mt 20,1-16), che personalmente ho sempre ritenuto una grande ingiustizia. E che cavolo, uno si fa il mazzo tutta la vita per seguire la Chiesa, e deve trovarsi a pari con quelli che se la sono spassata, salvo poi convertirsi all’ultimo minuto? Va bene la salvezza per tutti, ma riconosciamo un po’ di anzianità di servizio!
E invece no, niente di più sbagliato.
La cosa pazzesca è che uno può vivere tutta la vita pensando di doversi “guadagnare la salvezza”, pensando che la questione si esaurisca in una coerenza morale che garantisca di arrivare a destinazione con il massimo punteggio. Io stesso, per anni, ho vissuto così. Poi questi passi del Vangelo hanno iniziato a far breccia in me al punto da scardinare questa visione, che a conti fatti non ha niente di cattolico e molto di protestante.
La cosa grande del cattolicesimo è proprio la possibilità di una salvezza continua, di un perdono continuo che nel sacramento della Confessione ci permette di ricominciare un miliardo di volte anche dopo la miliardesima caduta. Senza limiti. La vita cristiana non è una sorta di parafrasi de “la cicala e la formica”, dove ha la meglio chi fa sacrifici per accumulare un credito da vantare in un prossimo futuro. Troppi, troppissimi, tropperrimi cristiani vivono così, convinti di doversi mortificare, sacrificare, di dover vivere una vita di rinunce per potersi poi meritare il Regno dei Cieli: NO! La vita cristiana è esattamente l’opposto: è una vita vissuta nella sua pienezza più piena, nel suo gusto più sfrenato, nella soddisfazione massima. E poi, premio immeritato e non guadagnato, perfino con un traguardo di vita eterna. Altro che mortificazione. La vita cristiana è il massimo della vita perché, seguendo la Chiesa, uno impara a vivere tutte le cose secondo quello che sono, e quindi traendone il massimo gusto. Un po’ come avere un iPad e usarlo come sottopentola, finchè qualcuno non ti spiega che con l’iPad puoi fare di più, te lo puoi godere al meglio. Altro che rinuncia! Non avrai il sottopentola, ma a quel punto chi lo rimpiange? Vivendo la vita, le cose e i rapporti nella loro verità, ne traiamo il massimo godimento. Per questo seguiamo la Chiesa.
In quest’ottica, non c’è più una scala di merito in cui chi rinuncia di più è più vicino al traguardo, ma semmai proprio chi si gode di più la vita è colui che ne ha capito il segreto. Il cristianesimo si trasmette per invidia, e non so chi potrebbe invidiare una vita di rinunce e di castrazioni. Si invidia semmai chi vive la propria vita appieno. Noi siamo chiamati a testimoniare la convenienza nel cristianesimo, non una castrazione. Gesù non ha promesso la vita eterna a chi farà tante mortificazioni su questa terra, ma semmai ha promesso a chi lo segue “il centuplo quaggiù, e la vita eterna” (Mc 10,29-30). Poche balle, io questo centuplo lo voglio vedere. Quaggiù, mica dopo.
Questo stravolge anche la concezione di peccato, che non è per nulla il concedersi una trasgressione proibita o infrangere le regole; è piuttosto usare l’iPad come sottopentola: che peccato, appunto. Una cosa bella sprecata. I comandamenti servono proprio ad evitare questo spreco.
Tutto questo per dire che il punto della vita non è il numero di rinunce che abbiamo all’attivo, ma l’aver capito e abbracciato quest’ottica, seguendo la Chiesa e amando Cristo sopra ad ogni cosa. Quindi il Paradiso se lo guadagnerà chi l’ha goduta la vita, non chi ha rinunciato ciecamente. E tante persone che ho considerato (o considero) “più indietro” nel cammino di salvezza magari hanno più chiara di me (magari inconsapevolmente) questa cosa. Saranno meno coerenti nella morale, ma magari saranno più vicini a come Gesù ci ha chiesto di vivere le cose della vita. O semplicemente, dopo una vita di “no” diranno in punto di morte il loro “sì” definitivo a Cristo (si saranno persi il centuplo, ma almeno la vita eterna no!).
Da quando quella frase mi ha folgorato (“vi passano avanti nel regno di Dio”), ogni volta che penso che una persona sia “di meno”, sia “più indietro”, sia lontana dal segreto della vita… non posso fare a meno di pensare che probabilmente ci sarà anche lei ad aprirmi le porte del Paradiso. Giacchè quando arriverò al cospetto del Signore, sono certo che la mia possibilità di entrare in Paradiso dipenderà da quelle persone, che ho sempre guardato dall’alto in basso, che diranno (sono sicuro che lo diranno) che mi hanno perdonato, e che hanno anche un po’ compassione di me che non ho mai capito niente, e che sì: tutto sommato per loro posso entrare. Quando arriverò alla mia resa dei conti, tutto soddisfatto della mia vita coerente, troverò i campioni di incoerenza ad aprirmi le porte. Ci troverò il mio vicino di casa ateo, ci troverò l’amico eterno convivente, ci troverò lo zingaro che una volta mi ha rapinato… ci saranno perfino Nichi Vendola e Saviano.
E solo allora capirò che il criterio era un altro.