Usucapione

Usucapione

Immagina di ereditare un terreno. Grande, molto grande. Di fianco al nuovo quartiere chic della città più importante della regione. Edificabile. Vicino a tutti i mezzi di collegamento. Nel sottosuolo c’è un giacimento di petrolio. In un casolare diroccato, al centro, il precedente proprietario aveva nascosto alcuni quadri originali di Caravaggio, avuti chissà come. Come se non bastasse, alcune aziende agricole della zona versano al proprietario (e quindi, da oggi, a te) decine di migliaia di euro al mese per avere un diritto di passaggio, poiché transitando dal tuo terreno riducono a un decimo il tragitto che i loro mezzi agricoli devono fare per andare dall’altra parte.
Passato il primo iniziale momento di euforia, dato dall’esserti reso conto che hai per le mani una ricchezza incalcolabile e che da oggi sei ricco sfondato, inizi ad abituartici. Piano piano l’entusiasmo con cui mettevi in piedi tanti progetti per mettere a frutto questo tuo tesoro, si affievolisce. In fondo hai venduto i Caravaggio e le aziende agricole ti assicurano un’entrata fissa; la voglia di sbatterti ulteriormente è pari a zero: va già bene così. Sì, è vero, stai sprecando il 90% di quella ricchezza, ma in fondo con quel 10% ti sei sistemato.

E così a poco a poco le idee di condomini di lusso, centri commerciali, opere mirabolanti, finiscono per sempre in un cassetto, e il terreno con ciò che contiene viene sempre più trascurato.
Ogni tanto te ne ricordi e ci butti l’occhio, e a volte ti sembra che tra il viavai di mezzi agricoli passi anche qualcuno che non conosci, e che probabilmente non ti paga il canone per il passaggio. Ma vabbè, euro più euro meno, che passino pure. Un giorno noti che qualcuno di questi estranei, vestiti tutti colorati, un po’ folkloristici, si ferma ore e ore nel tuo terreno a suonare un piffero o un violino scalcinato, improvvisando qualche ballo etnico o qualcosa del genere. Hai un istintivo moto di fastidio ma poi ti dici che, in fondo, non fanno alcun male. E li lasci lì. Anzi, a dire il vero un po’ ti piace vedere quei tizi che suonano, ballano o anche solo oziano nel tuo terreno: è un passatempo anche per te, una bella distrazione, e quindi perché mandarli via?

I primi sospetti iniziano a venirti quando compaiono le prime roulotte. Perché va bene passare a sbafo, va bene fermarsi, va bene suonare, va bene tutto, ma proprio accamparsi sfacciatamente forse è un po’ troppo. E così ti fai forza e un po’ controvoglia vai a parlarci, per capire cosa succede.
“Tranquillo, amico! – ti dicono – Mica ti rubiamo niente. Stiamo qui, ci riposiamo, suoniamo, allietiamo anche te e chi passa lavorando per il tuo terreno. Non è una cosa bella? Non disturbiamo, non sporchiamo, non ti diamo noie, e anzi ti distraiamo un po’. Che male ti facciamo?”. “Guardate – dici tu – per me potete anche rimanere, però il terreno è mio, e magari in futuro potrebbe servirmi libero per farci qualcosa…” “Stai sereno – ti rispondono subito – ci mandi via quando vuoi! Il terreno è tuo, basta volerlo e ti liberi di noi.”. Ottimo, problema risolto. Le cose sono state messe in chiaro, quindi te ne torni a casa rasserenato e tranquillo: i tizi per ora restano lì nel loro accampamento, ma li cacci quando vuoi. Inutile discuterne oltre.

Passa il tempo, passano gli anni, e quasi ti dimentichi del tuo terreno tanto sei impegnato a goderti le tue ricchezze in giro per il mondo. Accade però che un giorno, per una ragione molto seria e molto molto importante, tu abbia bisogno di liberare il terreno per venderlo. E così torni là, dopo tanto tempo, per sistemare le cose.
E non credi ai tuoi occhi: i 4 ballerini folkloristici che si erano accampati hanno chiamato anche qualche amico, e ora l’accampamento di roulotte si estende a perdita d’occhio. Non ti stupiresti se occupasse ormai tutta la tua proprietà. Ovunque vedi cumuli di sacchi dell’immondizia, che emanano un odore nauseabondo; ovunque vi sono piccole latrine a cielo aperto, i pochi alberi che c’erano sono stati tagliati e perfino il casolare è stato distrutto. I mezzi agricoli non passano più, salvo qualche coraggioso che si fa strada tra le roulotte e i bambini vestiti di stracci che corrono incuranti del contesto. Molti passanti vengono però rapinati, malmenati, o mandati indietro.
“Sul mio terreno!” pensi, sopraffatto dallo stupore e dall’indignazione. Armato dalla spavalderia propria di chi sa di avere ragione, ti addentri fino al cuore dell’accampamento per esigere spiegazioni. Non fai tempo a percorrere pochi metri che vieni subito accerchiato, minacciato, strattonato, e spinto via. Col sangue alla testa cominci a urlare chiedendo che si presenti il capo, il responsabile, qualcuno che abbia autorità in quel branco di sub-umani. Arriva. Gli urli in faccia tutta la tua rabbia, la tua delusione: “Avevamo un accordo! Io vi ho lasciati venire nel mio terreno ed è così che mi mostrate gratitudine? Rovinandolo, occupandolo, cacciando chi vi passava legittimamente? Lo sapete che ora io vi faccio passare dei guai? Fuori! Fuori di qui! Subito! O non immaginate cosa vi faccio!”. Il capo, con il viso sporco e vestito di stracci come tutti gli altri, ti guarda senza il minimo accenno a scomporsi. Ti guarda quasi con compassione. Quando hai finito la tua sfuriata, con un tono di voce calmo e inespressivo, fissandoti negli occhi, ti dice semplicemente “Esci subito di qui.”. E’ troppo: in te salta qualsiasi freno inibitore, diventi paonazzo, urli come non hai mai fatto in vita tua… ma ad un solo cenno della mano del capo, 12 persone ti prendono di peso e minacciandoti con pietre e bastoni ti buttano letteralmente, materialmente fuori dalla tua proprietà.

Imbestialito corri da un avvocato, il migliore: sei disposto a pagare milioni, è diventata una questione di principio. In breve gli racconti tutta la storia, lui ti ascolta senza interrompere e alla fine, calmo, ti chiede: “Mi scusi, ma quando questi individui si sono presentati senza titolo nel suo terreno non li ha cacciati?” “Ma no, – rispondi tu – non ne avevo motivo. Non facevano alcun male”. “Ma non ha pensato che poteva essere un problema lasciare gente del genere, incontrollata, libera di fare quello che voleva sul suo terreno?”. Un po’ infastidito spieghi: “Erano carini, mi piaceva anche sentirli suonare, non c’era problema finché si comportavano bene, non potevo sapere che sarebbero arrivati a tanto”. “Scusi – insiste l’avvocato – ma davvero nessuno le aveva mai raccontato di questi nomadi che si fingono amici per poi devastare ogni cosa?”.
Un flash ti percorre la mente: “Ma sì, qualche volta ne avevo sentito parlare, ma io mica ci credo a queste favole. Le raccontano per spaventarti, per privarti di qualche piacere, io li ho accolti e non hanno fatto nulla di male fintanto che…”.  L’avvocato incalza: “Quindi lei lo sapeva, ma si è fatto fregare lo stesso come un allocco da gente dalla quale era già stato messo in guardia?”. Inizi ad innervosirti. “Guardi, non si permetta, sono già al limite dell’autocontrollo. Faccia il suo lavoro e li cacci restituendomi quanto è mio.”. “Ma non si può! – dice lui, quasi sorpreso di dovertelo spiegare – Quei nomadi sono rimasti nel suo terreno abbastanza a lungo perché si verificasse l’usucapione. Il terreno, adesso, è loro. Lei non può più nemmeno entrarci.”.
Ti senti come se ti fosse precipitato addosso un pianoforte. Stranito e incredulo, ma ancora molto arrabbiato, speri di aver capito male. Ribatti all’avvocato: “Io non ne voglio sapere dei suoi tecnicismi. Quel terreno è mio e lei me lo farà riprendere, altrimenti denuncio anche lei!”. Lui, calmissimo, osserva: “Lei ha permesso che degli estranei passassero, si fermassero e bivaccassero sul suo terreno; sapeva del pericolo ma non ci ha creduto; sapeva come sarebbe andata a finire e non ha voluto ascoltare; non ha sorvegliato gli intrusi, ha trascurato il suo terreno, e si è fatto fregare da gente a cui nessuno avrebbe creduto; ha davvero pensato che li avrebbe mandati via quando voleva, e adesso che le cose sono andate esattamente come era prevedibile che andassero si stupisce di essere nei guai?”. Chiude il fascicolo coi documenti che gli avevi portato e te lo restituisce. Ti guarda da sopra gli occhiali e mentre tu raccatti le tue cose conclude: “Lei aveva il tempo, gli elementi e gli strumenti per evitare tutto questo. Oggi sarebbe ricco, e invece si trova nei guai. Ha fatto tutto lei, quella gente se l’è portata in casa lei e ha consegnato loro quanto aveva di più prezioso. Lei è un coglione.”.

 

L’usucapione per un terreno scatta dopo 15 anni. L’usucapione della nostra anima in cui lasciamo bivaccare il male e il peccato può essere molto, molto più breve. Occorre sorvegliare, vigilare, cacciare qualsiasi estraneo, non sottovalutare gli avvertimenti. E soprattutto mai, MAI cedere alla domanda che spalanca tutti i baratri: “In fondo, perché no?”.