L’altra via

L’altra via

“Quindi sembrò
come se gli uomini
dovessero procedere
dalla luce alla luce,
nella luce del Verbo.
Attraverso la Passione
e il Sacrificio
salvati a dispetto
del loro essere negativo;
bestiali come sempre,
carnali,
egoisti come sempre,
interessati e ottusi
come sempre
lo furono prima,
eppure sempre in lotta,
sempre a riaffermare,
sempre a riprendere
la loro marcia sulla via
illuminata dalla luce.
Spesso sostando,
perdendo tempo,
sviandosi, attardandosi,
tornando, eppure mai
seguendo un’altra via.”
(T. S. Eliot)

Bisognerebbe leggere e poi rileggere molte volte questa geniale intuizione di Eliot. Soprattutto in un periodo, come quello in cui ci troviamo, in cui sembra che la moralità intesa come coerenza sia l’unico metro di giudizio possibile su tutto e tutti.
Che si tratti di propria moglie, del vicino di casa, di un politico, di un sacerdote o del Papa, siamo costantemente invitati a misurare il “valore” della persona e la credibilità di ciò che dice sulla base della sua coerenza alla “nuova morale”. Una persona che sbaglia, magari in modo clamoroso, viene automaticamente esclusa da qualsiasi considerazione. E ciò che dice, automaticamente, diventano balle. E non parlo solo dei mass-media o dei salotti culturali: parlo di noi, comuni mortali, nella nostra vita di tutti i giorni. Siamo impregnati di questa mentalità.

E invece non funziona così. Invece siamo “salvati a dispetto del nostro essere negativo”. Siamo “bestiali, carnali, egoisti, interessati e ottusi”, questo sì, ma – sembra dirci Eliot – non è questo il punto. Il punto è nell’ultima frase del brano: “eppure mai seguendo un’altra via”. Ecco dove sta il valore: nella fedeltà, cariata e incostante e incoerente e discontinua, alla via buona. Accade così che una persona non è definita dal numero di errori che fa, ma dalla via che segue; non che con questo sia indifferente quello che uno fa e il male che commette – tutt’altro -, ma uno può inciampare tentando di procedere nella via buona (e l’inciampo allora è un ostacolo doloroso dal procedere più spediti verso la meta), oppure può inciampare perché ha deciso di intraprendere la via nella quale si procede per inciampi (e allora l’inciampo è la normalità, è la modalità liberamente scelta per deambulare).

Dobbiamo toglierci di dosso questa terribile tentazione di usare come criterio la “coerenza morale” nel giudicare le cose. Altrimenti ci faremo fregare dai falsi puri e dai soloni che, nell’evidenziare gli errori altrui, si ergono a giudici del mondo (e saremo fregati noi stessi, giacché voglio vedere chi di noi può dirsi immune dall’incoerenza).
Una persona che segue la via buona, “mai seguendo un’altra via”, è una persona buona ed è da seguire. Indipendentemente da quante volte cade. Se segue la via buona, la caduta non è obiezione a nulla. La “moralità” non è innanzi tutto una coerenza, ma la via che scelgo di seguire (che implica la meta a cui scelgo di tendere). L’errore è male, e genera una rottura, ma non è quello il criterio con cui siamo definiti.

Personalmente, preferisco seguire una persona incoerente, bestiale, interessata, carnale, egoista ma che sinceramente segue la via buona (e sinceramente soffre del proprio male e ne chiede perdono), piuttosto che una persona perfetta, pulita, ecologica, impeccabile, gradevole, sempre gentile e mai fuori posto, che non si comporta mai in modo sconveniente, ma che – candidamente e dietro i sorrisi – segue un’altra via.